Se, durante la commedia ORA PRO NOBIS (in scena al Teatro Folodrammatici, il 20-21-22 aprile***) vi sforzerete di riconoscerla sul palco in mezzo a 4 santi, un ex ragazzo autistico e la mamma siciliana che odia tutte le Maddalene del mondo, sarà fatica sprecata. Perché lei, Elisabetta Vicenzi, la regista, non si vede in carne e ossa ma c’è. Un po’ come i santi, protagonisti di quest’opera teatrale, che ci sono e, nello stesso tempo, non ci sono, sono evanescenti ma anche molto reali. Elisabetta ha una vera e intensa adorazione per Maria Maddalena, “ingiustamente etichettata come prostituta”, non riesce ad arrivare alla fine di questa storia senza commuoversi e, per spiegare a Domenico Arena (Paolino) l’estasi che si prova davanti a un santo, gli ha fatto immaginare la Juve in campo. E non è tutto: se ne volete sapere di più, continuate a leggere la sua intervista qui sotto.
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Elisabetta, che rapporto hai con i santi nella vita di tutti i giorni?
Nel senso attribuito dalla Chiesa cattolica, nessuno. Per me i santi sono persone comuni, come me e te, che hanno fatto un certo percorso sulla Terra e si sono “risvegliate”, sono diventate consapevoli, sono già ascese. Per questo motivo, le statue nelle cattedrali non hanno senso per me, perciò non porto doni e non porto fiori. Più in generale, non amo le chiese se non come belle costruzioni architettoniche.
Alla luce di questa tua interpretazione “umanissima” dei santi, ce n’è uno o una che ti sta a cuore più degli altri?
Da sempre e fin da piccola, ho avuto un rapporto molto speciale con Maria Maddalena. Preferisco non chiamarla Santa Maria Maddalena, perché in Italia è spesso confusa con Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Per me la Maddalena è la Maddalena, non c’è bisogno di anteporle il termine “santa”. Così come Gesù: è Gesù e basta, non San Gesù. Insieme, la Maddalena e Cristo, li considero la coppia sacra per eccellenza.
Ti capita mai di fare appello alla Maddalena?
Sì, molto. È stata la prima figura che da bambina mi ha affascinato, proprio per via della lapidazione. Poi, da adulta, ho ripercorso in tutta Europa i passaggi di Maria Maddalena. È stato uno studio vero e proprio su di lei che è durato 10 anni e ho anche scritto un testo.
C’è una raffigurazione iconografica di Maria Maddalena che ti ricordi in modo particolare?
Non in Italia, perché quasi tutte le chiese dedicate a Maria Maddalena sono sconsacrate. A Chartres, invece, ci sono la vetrata a lei dedicata e il labirinto sacro, intorno al quale il 21 giugno, giorno del solstizio, di ogni anno si riuniscono persone da tutta Europa per rimettersi in connessione con la figura della Maddalena. Questo è “il mio luogo” in assoluto. Seguono Saintes-Maries de la Mer in Provenza, La Madeleine a Parigi, e così via. A Parigi tutte le chiese dedicate a Notre Dame, non sono dedicate alla Madonna, ma a Nostra Signora Maria Maddalena… Lo sapevi che in ogni chiesa francese si trova sempre un omaggio alla Maddalena?
In effetti, è un particolare interessante che finora mi era sfuggito. Parlando di chiese, e quindi di case, è impossibile non pensare al racconto di Buzzati che colloca i santi in casette davanti all’oceano. Se fossi una santa, come sarebbe la tua casetta?
Senza porte, con tutti gli ambienti a vista. Non si troverebbe in mezzo a quelle degli altri santi, ma sarebbe sicuramente vicino alla casetta della Maddalena. Insomma, sarebbe come un teatro aperto a tutti… e con tantissimo glicine fiorito!
Sui 4 santi di questa commedia che tipo di lavoro registico hai fatto?
Il lavoro che ho fatto sui santi è stato quello di tirare fuori la loro umanità. Perché credo che nella nostra vita siamo circondati da persone speciali, che non si trovano su un altare: sono persone comuni, dall’aspetto giocoso. I santi della commedia Paolino li vede davvero, esistono e si presentano come potrebbero essere nella vita terrena.
Qual è il santo o la santa che ti ha divertito di più costruire?
È stato San Giovanni Damasceno (Alfredo Rossi), perché da una parte amo molto la sua parola, dall’altra è un professore molto arrogante. Quindi, mi sono divertita a costruire intorno a lui e a Paolino una sorta di aula scolastica, inserendoli all’interno di una lezione. In questo modo ho eliminato la pomposità del personaggio (che è anche subdolo perché rispetto agli altri santi fa di tutto per carpire i segreti di Paolino).
Il santo (o la santa) vincente, per te?
San Bartolomeo (Oscar Vaccari), perché è riucito a trovare la chiave giusta per entrare nel cuore di Paolino.
E quello (o quella) che ti è risultato più faticoso mettere in scena?
La Maria Maddalena (Silvia Adelaide), senza dubbio, perché tutto ciò che la riguarda e non corrisponde alla mia idea di verità lo considero quasi blasfemo e mi fa fare un balzo indietro. Sono stanca di vedere la Maddalena etichettata come una prostituta. Lei non lo era.
Come sei riuscita a raggiungere un compromesso?
Insieme a Silvia (Adelaide, ndr), che conosco molto bene, ho creato un’immagine seduttiva della Maddalena, che non è quella della prostituta o della donna facile. Tutte le donne sono seduttive e, nello stesso modo, lo è anche Maria Maddalena. Questa è stata la chiave, che mi ha permesso di costruire questa santa senza sentirmi a disagio.
Che tipo di lavoro hai fatto su Paolino?
Vuoi la verità?
Sei incapace di mentire, Elisabetta, perciò…
Per dare una mano a Domenico (Arena, ndr) ad affrontare l’impegnativa presenza mistica dei santi, che nella commedia gli compaiono davanti, gli ho detto: “Pensa a quando la Juve entra in campo. Scegli chi dei 4 santi sarà Buffon, per esempio, e poi via così per tutti gli altri. Immagina che la Juve si stia giocando l’ultima partita della vita e che tu stia pregando perché riesca a vincerla”. Ho usato questa tecnica, perché so che per un attore, che nella vita personale è lontano dalla religione, è molto difficile comprendere e quantificare l’importanza di un santo. E io, come ben sai, dai miei attori non voglio finzione sul palco, per me tutto deve essere vero. Domenico è stato molto bravo, ha fatto un grande lavoro su se stesso per arrivare nel cuore di Paolino. La sua prova è molto difficile, perché il suo personaggio cambia con l’arrivo di ogni santo e cambia anche il rapporto con ciascuno di loro, mentre aumenta vertiginosamente la mancanza di Michele, il suo amico scomparso.
Da che cosa hai attinto per il suo lato autistico?
Direttamente dalla mia esperienza, perché ho lavorato con bambini autistici e so molto bene di che cosa stiamo parlando. Con Domenico, allora, ho lavorato sul concetto della ripetizione del gesto, dell’andare in fissa su determinate parole e in cerca di un nervosismo che si ferma o si placa solo in determinati momenti.
Come nasce registicamente parlando, la figura di Agostina, la mamma di Paolino?
In Agostina (Maddalena Alesso) ho messo tante mamme che ho conosciuto. È sempre difficile avere un figlio diverso, molte volte anche superiore agli altri sotto certi aspetti. E, tra madre e figlio, si crea un rapporto talmente vivo che l’amore tra i due diventa di una grandezza immensa. Non ho mai sentito una madre di queste dire: “Quanto mai mio figlio è nato”, ma sempre: “Grazie a mio figlio, la mia vita si è arricchita”. Queste mamme sono indispensabili nella vita degli figli, cercano di coprire quelle che possono essere le loro mancanze, arrivano persino a inventare il mondo per farli stare bene. Quindi, sono andata a lavorare sulla presenza e sulla fatica di una mamma che deve costruire un universo che non esiste, per tenere suo figlio ancorato alla realtà. Quindi, quello di Agostina è un amore profondissimo per il figlio. E Maddalena, che è anche mamma, è molto brava a tirare fuori questo aspetto, sempre con un sorriso.
Strada facendo, la storia ha preso una piega più leggera, più umoristica. Come mai?
Vuoi sempre la verità? Perché l’autore, Paolo Pietroni, ha detto che ha scritto un testo comico. E dato che ho profondo rispetto per l’autore, soprattutto quando vivente, tutti insieme abbiamo lavorato per prendere questa direzione.
La versione non umoristica come sarebbe stata?
Più cerebrale, quasi metafisica. Avrei messo ogni cosa in un luogo che non esiste. I santi sarebbero stati tutti presenti nello stesso momento, nel grande orologio rotondo della vita di Paolino, scandita da attimi e momenti ben precisi. Il rapporto di Paolino con i santi sarebbe stato lo scorrere delle ore. A ognuno di loro, infatti, avrei dato un orario e una trottola. Ogni giorno Paolino avrebbe ripetuto questo giro dei santi nella speranza di ritrovare il suo amico Michele; ogni giorno l’ex bambino autistico avrebbe cercato di mantenere tutte le trottole in movimento; ogni giorno i santi sarebbero diventati sempre un pochino di più suoi amici, andando piano piano a sostituire la figura mancante di Michele. È una questione di fede: se Paolino crederà nel suo fioretto, allora Michele tornerà.
Che cosa che ti ha dato più soddisfazione in ORA PRO NOBIS?
Sono sempre molto contenta, quando riesco ad arrivare a un punto in cui mi commuovo. E in ORA PRO NOBIS c’è proprio questo momento.
E qual è?
È la fine e… non posso svelarla. È una parola che dirà San Bartolomeo. Quella parola mi ha fatto venire i brividi, è allora che ho detto: “Adesso il mio lavoro è finito, sono pronta ad affrontare tutte le critiche del mondo”.
E insieme a quella parola c’è la musica del Credo di Bacalov, il tripudio finale della Messa Tango di Bacalov:
E aggiungiamo anche la bellissima canzone che Paolo Conte ha scritto sulla Madeleine, un omaggio anche alla Madeleine di Proust della Ricerca del tempo perduto:
———————- Testo e intervista di Marianna Sax, 18 aprile 2017 ———————-