La commedia teatrale “Un amore” parla di tante cose. Dell’amore “per sempre” che non può esistere. Del protagonista maschile Dorigo che esce dalle righe del romanzo di Buzzati e diventa persona, una persona che vive di vita propria e non dipende più dal suo creatore. Della protagonista femminile Laide che è un “fantasma” e che deve rimanere un “fantasma” nella commedia così come el libro. Infine, delle donne che non sono lucciole. Come spiega, nell’intervista qui sotto, Paolo Pietroni, giornalista e drammaturgo, coautore di questa commedia insieme al giornalista Lorenzo Viganò del Corriere della Sera, in scena al Filodrammatici di Milano dal 16 al 18 giugno con la regia di Elisabetta Vicenzi.
La commedia “Un amore” è tratta dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati. Ma che rapporto c’è esattamente tra le due opere?
Molte opere teatrali e molti film sono tratti da qualche romanzo e tuttavia spesso sono “altro”. Io e Lorenzo Viganò ci siamo proposti di non tradire lo spirito e il senso del libro. Forse ci siamo riusciti, nonostante qualche invenzione teatrale. Tuttavia una commedia è una commedia. E una commedia deve stare in piedi e avere un senso anche per chi non ha letto il libro dal quale ha preso origine. Persino per chi è troppo giovane per conoscere Buzzati. Quindi, dobbiamo mettere, o meglio, chiudere Buzzati tra due parentesi. Molti spettatori non hanno letto “Un amore”, molti l’hanno letto ma lo ricordano vagamente, altri lo leggeranno dopo avere visto lo spettacolo, forse.
Chi è il Dorigo del libro e chi è Dorigo della commedia?
Io e Lorenzo abbiamo cucito addosso al protagonista Dorigo il personaggio dell’uomo Buzzati. Ma Dorigo è Dorigo, per quanto autobiografico sia il romanzo. Buzzati stesso sicuramente non ha mai pensato che Dorigo fosse al 100 per 100 lui stesso, tra l’altro Dorigo è un architetto non un giornalista come Buzzati. Ma c’è di più: il Dorigo della nostra commedia non può essere al 100 per 100 il Dorigo del romanzo. Un personaggio teatrale vive e respira in un mondo diverso dal personaggio narrativo. Si muove, parla, ama, odia in un’altra dimensione.
Un esempio di invenzione teatrale che riguarda il vostro Dorigo?
Nella commedia noi autori abbiamo messo in scena un momento vissuto da Buzzati durante un’intervista fatta a Fellini, almeno due anni dopo la pubblicazione del romanzo. A un certo punto Dorigo racconta l’esperienza che Federico Fellini ha fatto davanti al mago Rol con un mazzo di carte da gioco. Quando e da chi l’ha saputo? Da Buzzati? Dorigo non parla di Buzzati, mai. Da Rol? Da un amico di Rol? Chissà, non ha importanza. È importante l’esperienza della carta nera – la Donna di fiori – che diventa una carta rossa – la Donna di cuori – che si ripete in qualche modo sotto gli occhi di Dorigo nella prima scena.
In questo caso, dunque, vi siete sentiti liberi di “ingannare” il tempo?
Il tempo non conta, sul palcoscenico passato e futuro stanno entrambi nel presente, così come nella filosofia del tango! E nella cartomanzia, per chi ci crede…
Quindi, si può dire che il vostro Dorigo rinasce a nuova vita, uscendo “fuori dalle righe”?
Se una commedia è una commedia, se il teatro è il teatro, i personaggi di una commedia diventano persone reali – vedi il maestro Pirandello. Quindi, il nostro Dorigo ha ogni diritto di essere considerato e trattato come una persona.
In che senso?
Se per assurdo saltasse fuori qualche testimone che ricordasse Buzzati ballare il tango nel salone di un albergo a Castrocaro, noi gli diremmo: e allora? Buzzati sapeva ballare il tango? Il Dorigo della nostra commedia non lo balla e non lo vuole ballare. Punto e basta.
Altro esempio. Dorigo lascia cadere dalla tasca una lettera scritta da Buzzati molti anni prima. E allora? Dorigo assomiglia a Buzzati a tal punto che ha fatto un’esperienza analoga e ha scritto una lettera analoga. Del resto Dorigo nasce dalla fantasia di Buzzati, è un suo Alter Ego, ma quanti erano gli Alter Ego di Buzzati? Due tre, quattro, dieci? Qualcuno può dirlo con approssimazione?
E che cosa mi dici di Laide, la protagonista, la ragazza squillo?
Credo che il suo personaggio inquieti me come inquieterà la maggior parte degli spettatori.
Perché mai?
Perché non si comprende “chiaramente” che donna sia, nella commedia e anche nel libro. Ogni descrizione fatta da Dorigo resta vaga, essenzialmente vaga, volutamente vaga. La “cosa speciale” che solo lei sa fare quando fa l’amore con gli uomini a pagamento, non viene mai esplicitata, neppure da Buzzati nel libro che ha scritto (!). Tessuto nero… La maschera che porta addosso non viene mai strappata. Mai. E magari qualcuno pretende che si sappia perché e quando e come Dorigo si è innamorato di lei? Impossibile saperlo!
Visto che il titolo della commedia (e del libro) è “Un amore”, parliamo d’amore. Di quale forma d’amore racconta quest’opera teatrale?
Per risponderti è necessaria una breve premessa. Dal momento – magico, improvviso, imprevisto – in cui un uomo si innamora di una donna, il suo desiderio più grande è che questo amore sia “per sempre”. E siccome il “per sempre” è impossibile, e in qualche modo lo sappiamo, allora comincia la creazione virtuale di quella donna da parte di ogni uomo innamorato perdutamente. L’uomo crea una donna che, giorno dopo giorno, non corrisponde più alla realtà (come ha fatto Dante con Beatrice). È come un’opera d’arte. Leggi tante confessioni fatte da uomini che hanno raccontato come è la donna che amano perdutamente da anni e anni: si tratta di alta retorica, descrivono un’idea di donna piuttosto che una donna in carne e ossa. Tutto questo mi ricorda una foto che mi fece il grande Fabrizio Ferri (la potete vedere qui sopra) e che io pubblicai nell’editoriale del primo numero della nuova “Amica” (1982). Avevo un fiammifero acceso nella mano sinistra e accanto, sempre a sinistra (!), il manichino di una modella che sembrava vera, reale, sigaretta tra le labbra, e invece non lo era. Vestita quasi come una squillo di lusso, una donna trasgressiva, insomma una donna non “per bene”.
[Laide (Silvia Adelaide) e Dorigo (Mauro Negri) durante le prove di UN AMORE.[/caption]
Che cosa c’entra l’amore “per sempre” con l’amore a pagamento e non corrisposto di “Un amore”?
“Un amore” insegna che l’amore “per sempre” non può esistere. Insegna che l’amore “per sempre” è un sogno creato dagli uomini allo stesso modo del sogno che esista Dio. Insegna addirittura che il famoso verso di Dante (Amor che a nullo amato amar perdona) è una colossale bugia. L’uomo può amare perdutamente una donna che non lo amerà mai, anzi proprio grazie a questo “mai” crea lavorando la creta della sua immaginazione la donna “per sempre”. Ecco perché ritengo che “Un amore” sia soprattutto un romanzo di formazione, educazione sentimentale. Questo, naturalmente, è un mio pensiero. Si tratta in ogni caso di un’ipotesi affascinante. E sono contento che io e Lorenzo Viganò, il mio coautore, abbiamo dato vita e respiro a questa ipotesi lavorando alla riduzione teatrale di “Un amore”.
Quindi Laide è una donna che non esiste?
Laide è un “fantasma” e deve restare un “fantasma”, un sogno, dall’inizio alla fine. Infatti, quando alla fine della commedia Laide diventa il corpo in carne e ossa di una donna gravida, l’amore si spezza come una coppa di cristallo che va in frantumi, e la commedia finisce. Non ci resta che uscire dal buco e riprendere a fare la nostra passeggiatina quotidiana, come lo scarafaggio di Ermelina, che incontriamo all’inizio della commedia stessa. Gli uomini, in fondo, sono tutti come lo scarafaggio di Kafka nel racconto “La metamorfosi”. Le donne no. Non sono scarafaggi né altri insetti (qualcuna magari ricorda a sproposito le lucciole, perdonatelo, non sa quello che dice). Le donne portano la luce della vita, e creano la vita. Hanno già un amore “per sempre” in cassaforte: quello per i figli che possono fare e fanno e continueranno a fare sino alla fine del mondo.
Il famoso immortale tango che apre la prima scena della commedia “Un amore”.
——————— Testo e intervista di Marianna Sax, 14 giugno 2016 ———————