Il Tango di Stravinsky

LUCE O BUIO? QUI STA IL PROBLEMA

Quello di Elisabetta Vicenzi è un modo di fare regia così particolare che vedere le prove dei suoi spettacoli è interessante tanto quanto assistere alla messa in scena finale. Ne Il Tango di Stravinsky porta sul palco il diavolo anche se al diavolo non crede, fa diventare Coco, la bambina prodigio, una donna usando le semplici sfumature di una risata e il percorso che ha creato per gli attori è decisamente – indovinate un po’ – circolare, proprio come i passi del tango. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: se ad aprile vi siete persi lo spettacolo al Teatro Filodrammatici, in attesa di vederlo al Teatro La Scala della Vita di Milano il 26, 27 e 28 maggio 2016, leggete l’intervista qui sotto e scoprirete di più…

Quali sono i tuoi rapporti “registici” con la figura del diavolo?
Sono rapporti non ben definiti, visto che al diavolo non ci credo. Per me non esiste il Belzebù rosso e nero con le corna dell’iconografia classica, per me esiste la Luce e il Buio, esiste il Bene, esiste il Male. Nel Tango di Stravinsky il diavolo è un’incarnazione del Male. Ogni uomo può scegliere se stare da una parte o dall’altra. Noi abbiamo il libero arbitrio e – mi spingo più oltre – siamo Luce e Buio insieme. Che cosa vogliamo vedere per tutta la vita? Il Buio? È la scelta più facile. È più comodo essere Buio piuttosto che essere Luce. È meno faticoso dire un sì che un no. Il diavolo è tentatore? No, io credo nella tentazione. La tentazione di scegliere la via più facile per arrivare prima.

Se non al Buio, allora, a quale tentazione cederesti?
A un peccato di gola. Se fossi a dieta, mi nasconderei a me stessa e andrei a mangiare di nascosto!

Meglio vivere una vita di rimorsi o di rimpianti?
Preferisco una vita di rimorsi. Non potrei tollerare la frase “avrei potuto fare, ma non ho fatto”. Preferisco fare, poi al massimo sbattere la testa contro al muro, però guardare indietro e dire: “Qualcosa comunque ho imparato, sono cambiata, questo mi è servito per…”.

Esiste qualcosa in grado di far pendere l’ago della bilancia verso la Luce?
La Bellezza. Se tutto quello che ci circonda è brutto e l’uomo non ha nulla in cui specchiarsi per elevarsi, allora scegliere il Male è quasi naturale.
Io ho avuto un’insegnante splendida quando andavo a scuola, che mi diceva sempre: ”Anche nei periodi più bui della vostra vita, anche quando tutto vi sembra nero, dovete pensare sempre a una cosa, che dietro le nuvole c’è la luce, c’è sempre il sole. Sta a voi essere sopraffatti dal buio o andare a cercare la luce”. E Coco (interpretata da Silvia Adelaide, ndr) è riuscita a guardare oltre il brutto, oltre le nuvole.

Elisabetta Vicenzi in Incanti elementali, mostra itinerante di pittura, scultura, fotografia e teatro.

Elisabetta Vicenzi, alcuni anni fa, in Incanti elementali, mostra itinerante di pittura, scultura, fotografia e teatro.

Qual è il personaggio de Il Tango di Stravinsky che ami di più?
Nonostante tutto, devo ammettere che il personaggio che amo di più è il diavolo. In particolare il terzo, l’affascinante Reinhart, perché ha il coraggio di dire: “Io ero un ranocchio e Coco è riuscita a trasformarmi in quello che sono ora”. Lo amo perché si inchina davanti alla Luce e la riconosce.

Quindi, secondo te, alla fine non vince il Buio ma la Luce?
Sì, e non è nemmeno il Bello a vincere. Il Bello è negli occhi di chi guarda e due occhi luminosi possono essere anche su un volto molto brutto, ma io in quegli occhi leggo qualcosa di diverso. E Coco è andata l’oltre l’aspetto fisico: ha baciato un ranocchio.

Da chi dei 3 diavoli (interpretati da Domenico Arena) ti faresti sedurre?
Dunque, vediamo… Bukowski mi innervosisce e Violette utilizza il corpo in un modo che, da donna, non posso accettare. Quindi, non rimane che Reinhart. Ma non è una scelta obbligata: da lui mi farei sedurre perché è l’unico a dire la verità. E io voglio sapere la verità: la verità la posso affrontare, il sotterfugio e l’ipocrisia invece non li accetto.

Guardando le prove, mi è sembrato di capire che la regia di questa commedia è particolarmente complessa. È stata solo una mia impressione?
Assolutamente no, è stato uno degli spettacoli più difficili che abbia mai affrontato a livello registico.

Per quali ragioni?
Perché è un testo criptico, quasi al limite del teatro dell’assurdo, con una scrittura molto secca attraverso cui l’autore (Paolo Pietroni, ndr) non narra l’emotività. Normalmente non è facile comprendere il pensiero dell’autore e poi metterlo d’accordo con quello del regista, quindi capire come gli attori vedono il proprio personaggio. Ma qui, in questa commedia, le complessità si moltiplicano. Coco è stata il personaggio più difficile che abbia mai affrontato, perché recita un testo che non è scritto. Tutte le sue emozioni, i suoi ricordi, il suo pensiero non vengono espressi con la parola, ma solo ed esclusivamente attraverso i movimenti e le risate che, una completamente diversa dall’altra, narrano un percorso.

Quale metamorfosi subisce il personaggio di Coco, la bambina prodigio?
All’inizio, con Bukowski – il primo diavolo – Coco è molto ragazzina e molto dispettosa – e anche la sua risata, di riflesso, lo è. Però, è già affascinata da lui e, soprattutto, dall’oggetto che ha in mano: un rosario greco. Lui se ne rende conto e ne approfitta. Le fa vedere il rosario e lei, come fanno i bambini, cerca di afferrarlo e lo segue passo dopo passo. Bukowski in questo modo attira Coco dalla sua parte, ma capisce anche che non riuscirà mai a prenderla, perché – quando è sul punto di farlo – lei diventa la ragazzina dispettosa che dice: “Tu non mi dai il tuo rosario e io ti tolgo gli occhiali, io ti tiro le bretelle, io rido, io ti infastidisco quando parli con mio padre. Perché voglio tutta l’attenzione su di me”.

E con Violette, il secondo diavolo, che cosa succede?
Violette è una figura femminile, da cui Coco è affascinata quasi al limite dell’ambiguità. Per la prima volta, vede una donna vicino a suo padre e viene attirata all’interno dei loro momenti “erotici”. Volendo partecipare per non esserne esclusa, inizia ad atteggiarsi come Violette. Quindi, comincia a scoprire la sua femminilità e a comportarsi da donna. E nello stesso tempo si rende conto che il padre potrebbe sfuggirle da un momento all’altro, che lei potrebbe non essere più al centro della sua attenzione. Così, prima di andare nella stanza delle musica con Violette, gli chiede: “Mi dai un bacio, papà Stan?”.

Anche Violette ha un oggetto “magico” che porta con sé?
Sì, si tratta di una lunga collana di perle. A indossarla, quando entra Reinhart, il terzo diavolo, è però Coco. Questo fa capire che il suo personaggio  si sta modificando e che l’atteggiamento – anche verso il padre – è più sensuale, è più da donna, da ragazza. Reinhart è il diavolo più affascinante, è colui che porta la verità, che è ammaliato da questa ragazza sopra le righe, non uguale alle altre. Lui, prima di incontrarla, si sentiva un rospo piccolo e brutto, e nessuno era mai riuscito a passare la barriera che si era costruito. Ma Coco ci è riuscita: ha visto oltre l’aspetto esteriore e dichiara al padre: “A me lui piace, gli altri mi facevano paura perché volevano qualcosa da me, ma lui no”. L’oggetto di Reinhart è una catena puntata al collo. Ma a Coco non interessa: ha la sua collana della femminilità, quella di Violette.

Il rosario di Bukowski, la collana di perle di Violette e la catena di Reinhart fanno tutti parte di un’idea “circolare”, come i passi del tango che formano un cerchio?
Sì, in generale il percorso che ho fatto con gli attori sul palcoscenico è circolare. Perché tutto è il contrario di tutto. Stanislao, per esempio, sposta la scenografia in modo circolare: la prima parte la vediamo in un modo, la seconda nel modo opposto, la terza torna a essere come la prima. In scena, poi, c’è un elemento inquietante, una poltrona su cui non si siederà mai nessuno, se non Coco. Questo significa che il potere è tutto nelle mani della bambina prodigio. Infatti, secondo me, lei in questo lavoro rappresenta la Luce.

La regista Elisabetta Vicenzi.

La regista Elisabetta Vicenzi.

Qual è stato invece il lavoro registico su Stanislao?
Il lavoro con Oscar Vaccari è nato durante Segreti. Per Il Tango di Stravinsky erano stati proposti altri due attori, ma dentro di me non ero ancora riuscita a individuare Stanislao come lo avevo in mente io. Poi, durante una chiacchierata, Oscar ha fatto un’espressione che solo Stanislao avrebbe potuto fare. In certi momenti gli vengono fuori espressioni da serial killer enigmatico e impenetrabile. E, in effetti, Stanislao è enigmatico e impenetrabile. È un uomo che ha detto tantissimi sì alla figlia perché era più comodo cedere ai suoi capricci, che non le ha mai raccontato la verità sulla madre, ma le ha sempre buttato in faccia una verità che forse a una bambina non bisognerebbe mai dire: “Non sarai mai brava come la mamma, non potrai mai esserlo, tua madre era più brava di te”. Che ansia! Puoi dire mai a una bambina una roba del genere?!?

Com’è stato guidare un attore non professionista in una commedia già complicata?
Oscar si è impegnato al di là di ogni ragionevole dubbio: penso che abbia visto tutti i film e le opere teatrali che gli ho consigliato! E poi si è fidato di me, quando gli dicevo: “Dai che ce la fai, questa cosa ce l’hai dentro, devi solo trovarla e tirarla fuori”. E lui ci è riuscito. Quando fa Stanislao, in scena entra Stanislao, non Oscar che fa Stanislao e che la pensa completamente in modo diverso. E questo per un attore non professionista è una grande conquista. Sono felicissima del percorso fatto con lui e anche con Domenico e Silvia. Tutti e tre, in questa ommedia, sono un corpo unico, sono un cerchio energetico perfetto. Sanno esattamente che si possono fidare del collega di fianco, sanno che, se si dimenticano una battuta, qualcuno gliela farà recuperare più avanti. Questo affidarsi crea la magia sul palcoscenico.

La cosa che ti ha sorpreso di più in questo spettacolo e che non avresti immaginato?
La forte emotività nella costruzione di un quadro nell’ultima parte. Coco doveva alzare la mano, ma non sapeva chi l’avrebbe presa, se papà Stan o il diavolo. Tecnicamente doveva farlo Stanislao/Oscar, ma per afferrarla doveva scavallare la mano del diavolo/Domenico che era in mezzo. Quindi c’è stato un attimo in cui ho visto queste tre mani che si cercavano. E quello che mi ha sorpreso è che il diavolo ha tolto la sua e ha lasciato la libertà a papà e figlia di prendersi. Domenico, da attore, ha risolto un problema tecnico, ma io quello che ho visto è che il diavolo si è tirato indietro…

—————————- Testo e intervista di Marianna Sax, 21 aprile 2016 —————————-

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