Stanotte ho fatto un sogno

MOANA POZZI

Mi chiamo Mario, faccio il pianista di pianobar, uno dei mestieri più belli del mondo, secondo me. Non sono sposato, non ho figli, vivo da single ma ho qualche amico vero e quando la solitudine mi schiaccia esco di casa e vado a suonare in qualche bar di Roma, anche gratis se è il caso perché la compagnia della gente non ha prezzo. Ho quattro passioni principali: la musica, il pianoforte che suono da quando avevo 4 anni, il calcio (sono tifoso del Milan come mio padre che non c’è più) e una donna (non c’è più neppure lei) e la vita che ho conosciuto attraverso questa donna. Che si chiama, o meglio si chiamava, Moana Pozzi. Siamo nati nello stesso anno, 1961, e nella stessa città, Genova, ma ci siamo incontrati in un magnifico bar notturno di Roma. Era una bella persona, non era una pornodiva come la gente pensa, faceva la pornodiva per gioco, anzi per scommessa. Era semplicemente una donna. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla non la può dimenticare. Mai.

La notte di domenica 29 novembre ho fatto un sogno, uno di quei sogni straordinari che ci raccontano la verità stupendoci, la verità che sta dentro di noi e dentro le cose della vita. Sabato 28 novembre il Milan aveva battuto la Sampdoria a San Siro per 4 a 1. Una sorpresa e il mio sogno comincia qui. Ho sognato Silvio Berlusconi disperato e distrutto. Lui avrebbe voluto che il Milan perdesse per licenziare finalmente l’allenatore Sinisa Mihajlovic, che odia perché più giovane, più forte, più bravo di lui nell’arte del pallone. Eccolo, nel mio sogno, Berlusconi che entra fradicio di pioggia, battendo i denti per il freddo nel bar dove io stavo suonando una canzone di Frank Sinatra, si siede a un tavolo e si mette a piangere. Sembrava un barbone, era un uomo sconfitto. Due tavolini più a destra c’è Moana Pozzi in un abito da sera rosso, scollato, bellissima. Lei lo guarda come si guarda un gatto randagio. Berlusconi si alza, la raggiunge camminando a quattro zampe. E lei dice: “Povero Silvio, hai vinto tante partite nella vita. Impara a perdere. E’ arrivata l’ora della tua sconfitta”. Lui dice: “La mia sconfitta?”. “La tua sconfitta finale. Non c’è più niente da fare. Non hai più niente da dire. Se l’accetti avrai l’onore della armi. Altrimenti, morirai da solo come un cane. Impara”. “Imparo da chi? Imparo da te?”, a questo punto Berlusconi si ringalluzzisce, mette le mani avanti, fa per toccare Moana, che lo respinge. “Non da me, Silvio. Da lui”. E Moana indica un omino seduto in fondo alla sala del bar, il capo basso coperto da una feluca. “Chi è?”, domanda Berlusconi. “Non lo riconosci?”.

Era Napoleone. Berlusconi ride rincuorato e dice con aria di trionfo: “Io sono come lui. Come Napoleone!”. Moana scuote la testa e indica tutti i tavolini del bar, dove all’improvviso hanno preso posto tanti piccoli Napoleoni. “Anche loro pensano di essere Napoleone”, dice Moana, “ogni domenica sera sono in libera uscita dal manicomio qui accanto”.

Io, ci tengo a dirlo, ho conosciuto Moana Pozzi nel pianobar di un hotel di Montecarlo. Era una notte dedicata al tango. Alla fine lei mi ha chiesto di farla ballare. Quando ci penso mi commuovo e mi viene da piangere. Di felicità. Per questo ho scritto questo mio sogno a Teatro Tango. Da quella notte mi chiamo Marius, così mi ha chiamato lei, Mariùs, con l’accento sulla u.

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