Stanotte ho fatto un sogno

MARILYN MONROE

Domenica 22 novembre 2015 Giorgia Meloni, presidente del partito Fratelli d’Italia, lesse sul Corriere della Sera un articolo sul folle amore di Benito Mussolini per Margherita Sarfatti, musa dell’arte fascista. Una lettera di lei al Duce: “Ti amo, mio amore. Se mi avvicino al telefono solo al pensiero di udire la tua voce avvampo e mi dà le vertigini”. Una lettera del Duce a lei: “Ti bacio forte, ti abbraccio con tenerezza violenta, stasera prima di addormentarti pensa al tuo devotissimo selvaggio, che è un po’ stanco, ma tutto tuo… Dammi un po’ di sangue dalle tue labbra. Tuo Benito”.

La notte del 22 novembre Giorgia Meloni fece un sogno. Saliva le scale di Palazzo Venezia tenendo per mano Marilyn Monroe. Faceva caldo, era la fine di luglio, mercoledì 29, giorno del compleanno di Benito Mussolini. Marilyn indossava jeans e una maglia bianca, stretta alla vita e sul seno. Nell’anticamera della sala del mappamondo, Giorgia aprì la sua borsa e diede a Marilyn una maglia nera con un’occhiata di rimprovero che lei capì e cambiò il colore in un battibaleno, sussurrando una parola: “Vendetta” e poi, completata l’operazione, aggiunse:“Tremenda vendetta!”. Entrarono, sempre mano nella mano, accompagnate da una guardia del corpo. Il Duce stava seduto alla sua scrivania, immobile, una faccia impenetrabile. Non si alzò, piegò il volto da una parte quando vide Marilyn, muovendo la mano destra come per dire: ci mancava anche questa. Lei, diritta davanti a lui, cominciò a cantare “Happy Birthday Mister President”, la canzone che aveva cantato per il compleanno del presidente John Kennedy. Poi ci fu uno sparo improvviso. Il Duce si alzò, fece due o tre passi barcollando, stramazzò per terra. Giorgia Meloni si avvicinò a lui, osservò con angoscia il volto insanguinato, si voltò verso Marilyn che batteva le mani e rideva dicendo: “Presidenti assassini!”. E venne trascinata via da due guardie del corpo. Giorgia Meloni passò una mano sul collo del Duce per accertarsi della sua morte, poiché i suoi occhi aperti la fissavano con rimprovero e le parve di udire in un soffio: “Chi sei tu?”. Provò un’emozione forte e anche una pietà sincera. Poi si alzò e correva correva correva alla cieca nella sala del mappamondo come una farfalla impazzita, cercando una via di uscita. Invano. Non c’era più Marilyn e non c’era più il corpo di Mussolini. Si imbatté in uno specchio, si guardò dentro lo specchio e con infinito stupore vide il suo volto che non era il suo volto. Era il volto di un’altra donna, tuttavia somigliante. Era il volto di Margherita Sarfatti. Poi ci fu un secondo sparo e lo specchio andò in frantumi. Qui il sogno finì.

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