“Professor Dorfles, lei sta per compiere 105 anni, qual è il suo segreto per essere arrivato a questa età così attivo, così lucido, così creativo?”. Il 27 novembre 2015 Gillo Dorfles era all’inaugurazione di una grande mostra d’arte a lui dedicata al Macro di Roma e si trovò ad affrontare ancora una volta il problema di come rispondere a questa domanda che sempre più spesso gli veniva rivolta da giornalisti di ogni tipo, soprattutto televisivi, cioè giovani, superficiali, banali, impreparati. E mai aveva trovato una risposta per lui soddisfacente. Si era sempre arrampicato sui vetri. Qualunque fosse la risposta, dal DNA al nutrimento dell’arte, della musica, della poesia, aveva in ogni caso il gusto amaro nella gola di non riuscire a dare una risposta valida in primo luogo per se stesso. Qual era la componente essenziale per raggiungere i cento anni e superarli continuando ad amare la vita, la gente, l’arte, per di più in tempi di decadenza morale, artistica, culturale, nel trionfo generale del kitsch?
La notte del 29 novembre, Gillo Dorfles sognò di essere sul palco dell’Auditorium di Milano, accanto a un pianoforte dove di lì a poco si sarebbe seduto il pianista argentino Alberto Neuman, allievo di Arturo Benedetti Michelangeli, e Neuman avrebbe eseguito in onore di Dorfles alcuni brani famosi, tra i quali il famoso Tango per solo pianoforte di Igor Stravinsky (in onore di ciò Dorfles indossava un gilet che a Trieste usava James Joyce per proteggersi dalla bora). Poi, alla fine del concerto, il professore avrebbe risposto alle domande del pubblico, e certamente ci sarebbe stata tra le prime anche quella esecrabile: “Qual è il suo segreto, eccetera, eccetera…”
Quando Neumann cominciò a suonare, Dorfles pensava soltanto a come rispondere per l’ennesima volta a quella fatidica domanda, e non si dava pace. Ma c’era un ragazza giapponese, piccolina e graziosa, seduta in prima fila, che continuava a guardarlo. Dorfles pensò: è davvero piccolina e carina, molto graziosa, molto affascinante, una Butterfly in miniatura, piccolina piccolina… Così, in un lampo, gli venne alla mente l’aria della Butterfly in cui Maria Callas canta: “Vogliatemi bene, un bene piccolino, un bene da bambino quale a me si conviene. Noi siamo gente avvezza alle piccole cose umili e silenziose…”
Perbacco! Ecco la risposta giusta! Lui aveva voluto da sempre un bene piccolino alla gente che aveva incontrato, agli artisti meno grandi, ai poeti piccolini, senza superbia, considerandosi sinceramente un ultimo tra gli ultimi. Poiché per distribuire a migliaia di persone il Bene di cui possiamo disporre senza mentire, senza barare, bisogna dividerlo in tante porzioni… E aveva ricevuto in cambio lui stesso un bene piccolino e da qui era arrivato, di passo piccolino in passo piccolino alla soglia dei 105 anni!
All’improvviso Neumann suonò al pianoforte l’aria di Puccini “Un bel dì vedremo”, il pianoforte si fece piccolo piccolo e anche Neuman per suonarlo si fece piccolo piccolo, e anche Dorfles si fece piccolo piccolo, e invece la giapponesina seduta in prima fila diventò una gigantessa, bellissima, sorridente, silenziosa.
Stanotte ho fatto un sogno