Ho sognato David Bowie sette giorni prima della sua morte. Un presentimento? Forse. Una rivelazione? Certamente. Attraverso il mio sogno penso di avere capito finalmente che cosa rappresenta David Bowie per me e per tutti quelli che mi assomigliano. E’ accaduto una notte nel periodo di siccità con le polveri sottili che invadevano Milano. Che voglia di pioggia! E io nel sogno vagavo per le vie del centro, intorno a piazza del Duomo, con un ombrello in mano, aperto, come se piovesse. Invece nessuna nuvola sopra la mia testa. L’ombrello era grande, nero, ma alzando gli occhi vedevo nel tessuto piccoli puntini fosforescenti, gialli, bianchi, rossi, azzurri, verdi. Ho fatto per chiuderlo e ho sentito una voce: non chiudermi, aspetta, pioverà tra qualche minuto. E io: chi parla? E l’ombrello: un ombrello… Ma gli ombrelli non parlano! E lui: io parlo perché non sono solo un ombrello, sono anche una persona, non riconosci la mia voce? So anche cantare, so anche farti ballare, se ti piace.
Era la voce di un uomo che mi porto nel cuore e nella testa da molti anni: David Bowie. Io sono nato nel 1971, quando arrivò in Italia la sua canzone più bella, che mi ha accompagnato tutta la vita, anche nei giorni amari delle delusioni: The man who sold the World, l’uomo che ha venduto il mondo. Sul significato di questa canzone è stato scritto molto. Facile capire che lui, l’uomo che ha venduto il mondo, è il responsabile principale delle nostre sconfitte. Ma chi è quell’uomo? E cosa significa “vendere il mondo”?… Molto è stato scritto sulla capacità di continue metamorfosi che caratterizza Bowie, il grande camaleonte. Quante volte ha cambiato la sua faccia, i suoi vestiti, il suo stile musicale! Si trasforma in cento personaggi diversi eppure è sempre lui. Si sono fermati alle persone, i critici. Bowie ha fatto molto di più. Ha scoperto che anche le cose hanno un’anima. L’ombrello, per fare un esempio. Anche l’ombrello è una persona. Anche un fiocco di neve, un albero, un fiore, una pietra. Non mi ha sorpreso la confessione di una ragazza ai microfoni del TG7: “David Bowie mi ha insegnato a essere diversa”. Cosa voleva dire? Diversa da quella che mia madre, mio padre, le mie amiche, le colleghe pretendono che io sia. Perché abbia successo in amore, nel lavoro, nella società. L’uomo che vende il mondo sono tutti coloro che ci vendono sogni bugiardi. Basta guardare la pubblicità e tutto quello che ci gira intorno.
Bisogna essere eroi per non cadere nella trappola, per non rinunciare a tutte le possibilità di essere che sono dentro di noi, ombrello, fiocco di neve, pietra, delfino. Come dice un’altra bellissima canzone di Bowie: Heroes: “Siamo un nulla e nulla ci aiuterà, ma possiamo essere eroi, anche solo per un giorno. Io vorrei che tu sapessi nuotare come i delfini nuotano: allora possiamo battere chiunque, possiamo essere eroi, almeno per un giorno”. Anche solo per la durata di un tango, che solo per un giorno Bowie ballò con Louise Lecavalier (vi mando una rara immagine!). Avevo 15 anni quando è uscito nelle edicole un giornale che parlava ai ragazzi e agli uomini che volevano essere eroi: Max, il direttore si chiamava Paolo Pietroni, forse è lo stesso uomo presidente di Teatro Tango? Che combinazione! C’è un grande testamento che Bowie ci ha lasciato e sta nelle parole di un’altra sua bellissima canzone, meno conosciuta ma io l’ascolto spesso: Rock’n Roll Suicide: “Non lasciare che il sole bruci la tua ombra, non lasciare che il tuo cervello galleggi nel latte, Non sei solo, non importa cosa o chi sei stato, non importa quando o dove hai visto i coltelli che sembrano lacerare il tuo cervello. Apriti con me e non sei solo! Dammi le tue mani perché sei meraviglioso! Dammi le tue mani!”
Louise Lecavalier e David Bowie ballano il tango
Mi chiamo Alessandro, mi arrampico sui vetri per diventare un attore professionista, purtroppo mi hanno bocciato anni fa agli esami di ammissione all’Accademia dei Filodrammatici (a suo tempo avevano bocciato Alberto Sordi, microscopica consolazione!). Ma stringo i denti e vado avanti, chissà che un giorno non riesca a ottenere una particina per salire sul palcoscenico di Teatro Tango! Intanto continuo a esercitare la mia sensibilità, le mie emozioni imparando a memoria le poesie di Giovanni Pascoli. Quella di cui porto il nome, Alexandros, dice: “Giungemmo: è il fine. O sacro Araldo squilla!… Il sogno è l’infinita ombra del Vero… E così, piange, poi che giunse anelo: piange dall’occhio nero come morte: piange dall’occhio azzurro come cielo”. E già. Anche David Bowie aveva un occhio azzurro e un occhio nero. È stato scritto più volte.