Mi chiamo Alfredo Rossi, sono uno degli attori di “Segreti”, la commedia messa in scena da Teatro Tango alla fine dello scorso ottobre. Non sogno mai, anzi quasi mai. Ma, come mi dice spesso un amico psicoanalista, “ tu sogni come tutti, tutte le notti, ma i sogni non te li ricordi”. Poi ogni volta aggiunge con un sorrisetto un po’ da stronzo, come solo gli psicoanalisti sanno essere: “Non li ricordi perché sei una testa di cazzo”. Non ricordo quasi mai i sogni, ma a volte mi capita. L’ultima volta è stato un mese fa, proprio dopo aver visto a casa di un amico, grazie a una videocassetta che aveva recuperato smontando una vecchia libreria, il film “Il bell’Antonio”, interpretato da Marcello Mastroianni e diretto da Mauro Bolognini. L’avevo voluto rivedere perché ero impegnato a teatro, nel ruolo di un chirurgo plastico che racconta una sua esperienza segreta nella quale erano coinvolti Marcello Mastroianni, Catherine Deneuve e la loro storia d’amore.
Ero seduto a un tavolino di un bar. Faceva freddo, un freddo umido, quel freddo che ti si attacca alle ossa, ma volevo fumare un toscano in pace e quindi mi ero accomodato su una delle due sedie libere messe accanto a un fungo, quei marchingegni orribili alimentati da una bombola a gas che riscaldano, anzi surriscaldano, l’aria nel raggio di un metro. Avevo appoggiato il toscano sul posacenere che si trovava sul tavolino accanto e mi ero portato alla bocca il bicchiere con del whisky (pessimo).
“Posso fare un tiro?”, mi dice uno mentre si siede sulla sedia rimasta libera e mette la mano sul mio toscano. Stupito, lo guardo in faccia. Una faccia unica, indimenticabile anche se l’aveste vista una volta sola su una vecchia foto in bianco e nero: Marcello Mastroianni. “Grazie”, mi fa sbuffando una nuvola di fumo come gli ho visto fare tante volte al cinema con una sigaretta. “Ma, scusi, quel toscano è mio!”, gli dico un po’ risentito. “Vero, ma anch’io sono mio e lei nella commedia dice che mi assomiglia e, quello che è peggio, lei è davvero convinto di assomigliarmi”, ribatte lui. “Vero o no?”. “Vero, un po’ mi sono immaginato nei suoi panni”, gli confesso. “E ha provato anche a immaginarsi a letto con Catherine Deneuve. La mia Catherine. Vero o no?”, mi chiede. Vero, me l’ero proprio immaginato: entravo in casa loro, buttavo lui giù dal letto e mi mettevo sopra Catherine, nuda, che ansimava “Marselò, Marselò”… che poi cambiava in “Alfredò, Alfredò”.
“Impari a farsi la sua vita”, continua lui dopo aver dato una lunghissima tirata al toscano (E io che penso: “No, non così! Lo surriscaldi!”). “E se vuole mettersi in quella degli altri si prenda tutto, anche la parte che non le piace. Così come io le prendo il toscano, anche se preferisco le sigarette”. Si alza e se ne va (solo adesso mi accorgo che è coperto solo da una giacca, neanche un cappottino, eh già, con il suo fisico…) cantando il tango “Caminito” con quella sua voce un po’ tremula che a volte sembra quasi stonata senza esserlo. “Ehi, un momento”, gli grido dietro richiamandolo.
Non ricordo se si è girato al mio richiamo, o forse sì ma non ha detto niente, ha solo sputato sul pavimento verso di me una briciola di tabacco. quasi volesse ricordarmi “sei una testa di cazzo”. Mi sono svegliato e la sveglia elettronica poggiata sul comodino, con quella orribile luce giallo-arancione che illumina le ore, segnava le 04,40. Mi sono riaddormentato subito, senza farmi troppe domande.
Di una cosa sono certo: non racconterò questo sogno al mio amico psicoanalista.