Narratore, poeta e saggista, è famoso sia per i suoi racconti fantastici, in cui ha saputo coniugare idee filosofiche e metafisiche con i classici temi del fantastico (quali: il doppio, le realtà parallele del sogno, i libri misteriosi e magici, gli slittamenti temporali), sia per la sua più ampia produzione poetica, dove, come afferma Claudio Magris, si manifesta “l’incanto di un attimo in cui le cose sembra stiano per dirci il loro segreto”.
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IL TANGO
la sua poesia più famosa
(traduzione di Ruben Costanzo)
Dove saranno? Chiede la leggenda
di chi non è più, come se fosse
uno spazio in cui l’Ieri potesse
esser l’Oggi, l’Ancora, il Tuttavia.
Dove saranno (ripeto) I malavitosi
che fondò, in polverose strade
sterrate o in sperdute villaggi ,
la setta del coltello e del coraggio?
Dove saranno quelli che passarono
lasciando all’epica un episodio,
un mito al tempo, e che senza odio,
lucro o passione d’amore si accoltellarono?
Li cerco nella leggenda, nell’ultima
brace che, come una incerta rosa,
custodisce qualcosa di quella plebe valorosa
dei Corrales e di Balvanera.
Quali oscuri vicoli o quale ermo
dell’altro mondo abiterà la dura
ombra di quella che era una ombra oscura,
Muraña, quel coltello di Palermo?
E quel terribile Iberra (di cui i santi
si impietosiscono) che in un ponte della via
uccise suo fratello il Ñato, che doveva
più morti di lui, e così uguagliò il punteggio?
Una mitologia di pugnali
lentamente si annulla nell’oblio;
una canzone di gesta s’è perduta
in sordide notizie criminali.
C’è altra brace, altra incandescente rosa
nella cenere che li serba interi;
là stanno i superbi accoltellatori
e il peso del pugnale silenzioso.
Benché il pugnale ostile o quell’altro pugnale,
il tempo, li persero nel fango,
oggi, al di là del tempo e della sciagurata
morte, quei morti vivono nel tango.
Nella musica dimorano, nelle corde
dell’indomabile chitarra laboriosa
che intreccia nella milonga gioiosa
la festa e l’innocenza del coraggio.
Gira nel vuoto la gialla ruota
di cavalli e leoni, e odo l’eco
di quei tanghi di Arolas e di Greco
che ho visto ballare sul marciapiede,
in un istante che oggi emerge isolato,
senza né prima né dopo, contro l’oblio,
e che ha il sapore del perduto,
del perduto e del recuperato.
Negli accordi ci sono antiche cose:
l’altro cortile e il nascosto pergolato.
(Dietro le pareti sospettose
una mitologia di pugnali
il Sud custodisce un pugnale e una chitarra).
Quella raffica, il tango, quella diavoleria,
fatto di polvere e tempo, l’uomo dura
meno della leggera melodia,
che solo è tempo. Il tango crea un nebbioso
passato irreale che in qualche modo è certo,
un ricordo impossibile di essere morto
lottando, in un cantone del suburbio.