59 anni, pittore
Buonasera a tutti, soprattutto a quelli che hanno occhi buoni e giusti per vedere i colori della vita. Io ho superato di poco la metà della mia vita. Faccio il pittore: una fortuna, meglio fare il pittore che il manovale, l’imbianchino, l’impiegato delle poste, il salumiere, l’idraulico, il pescivendolo, lo spacciatore, il ruffiano, lo strozzino, il politico.
Quando ero giovane, ho sperato. Di essere grande come Giotto, come Leonardo, come Raffaello. E più tardi come Picasso, come Matisse, come Van Gogh. L’ho sperato, non l’ho pensato, non ho peccato di presunzione. Mai. Altrimenti non avrei impegnato i miei occhi, e la mia mano nei ritratti di persone qualunque nella piazza e nelle piazzette della città, nei giorni di sole. E di ospiti sconosciuti seduti ai tavolini del Grand Hotel nelle sere di primavera.
Né mi sarei dedicato anno dopo anno alla pittura di quadretti per i turisti dove la stessa fontana, la stessa chiesa, la stessa statua sono ripetute cento e cento volte.
Sono un artista, piccolo, lo ammetto. Un piccolo artista. La natura che è madre talora e matrigna spesso di tutti gli uomini, che li scolpisce grandi e mediocri, aveva belle intenzioni verso di me, stava per farmi gli occhi buoni e le dita eccellenti, poi si è stancata, si è distratta… Si è addormentata, insomma, è stata negligente e avara.
Mi è sempre piaciuto ritrarre le cose e le persone con i colori un poco ombrosi e spenti filtrati dai miei occhi. I grigi discreti, i marroni bruciati, i gialli consunti, i rosa slavati… Le nuvole come aquiloni stanchi, le luci del mezzogiorno come bagliori improvvisi nei crepuscoli, i fiori come ricordi smarriti.
“Quanta malinconia suonano i tuoi quadri”, mia moglie mi diceva sempre, china al suo cucito.
Quando morì…
(continua sul palcoscenico)