Segreti

Cesare Cadeo

Il mio cane è morto

Il mio cane è morto.
L’ho sotterrato in giardino,
vicino a una vecchia macchina arrugginita.
Lì, non più sotto
né più sopra
si unirà con me un giorno.
Ora egli ormai se n’è andato col suo pelame,
la sua cattiva educazione, il naso freddo.
E io, materialista che non crede nel celeste cielo promesso per nessun essere umano,
per questo e per ogni cane
credo nel cielo,
si,
credo in un cielo dove non entrerò,
ma lui m’attende
ondeggiando la coda di un ventaglio
perché io giungendo abbia amici.
Ahi, non dirò la tristezza sulla terra
di non averlo più come compagno
che mai per me è stato un servitore. Ebbe per me l’amicizia di un riccio
che conservava la sua sovranità, l’amicizia di una stella indipendente senz’altra intimità
che quella necessaria,
senza esagerazioni,
non s’arrampicava sui miei vestiti empiendoli di peli o di rogna,
non si strusciava contro il mio ginocchio come altri cani ossessi sessuali.
No,
il mio cane mi guardava
prestandomi l’attenzione di cui ho bisogno l’attenzione necessaria
per far comprendere a un vanitoso
che essendo cane lui
con quegli occhi,
più puri dei miei,
pareva il tempo,
ma mi guardava con lo sguardo che mi riservò
per tutta la sua dolce,
la sua pelosa vita,
la sua silenziosa vita,
vicino a me
senza seccarmi mai,
e senza chiedermi nulla.
Ahi quante volte ho voluto avere coda
camminando vicino a lui
lungo le rive del mare,
nell’Inverno di Isla Negra,
nella gran solitudine: in alto l’aria trafitta d’uccelli glaciali e il mio cane che saltava, irsuto, pieno
di voltaggio marino in movimento:
il mio cane vagabondo e olfattivo
inalberando la sua coda dorata
faccia a faccia all’Oceano
e alla sua schiuma.
Allegro
allegro
allegro
come i cani sanno essere felici,
senza nient’altro,
con l’assolutismo
della natura sfacciata.
Non v’è addio per il mio cane ch’è morto. E non vi fu mai menzogna fra di noi.
Se n’è andato ormai e l’ho sepolto, questo era tutto.

(Pablo Neruda)

Ho conosciuto il dolore

Ho conosciuto il dolore
(di persona, s’intende)
e lui mi ha conosciuto:
siamo amici da sempre,
io non l’ho mai perduto;
lui tanto meno,
che anzi si sente come finito
se, per un giorno solo,
non mi vede o non mi sente.
Ho conosciuto il dolore
e mi è sembrato ridicolo,
quando gli dò di gomito,
quando gli dico in faccia:
”Ma a chi vuoi far paura?”
Ho conosciuto il dolore:
ed era il figlio malato,
la ragazza perduta all’orizzonte,
il sogno strozzato,
l’indifferenza del mondo alla fame,
alla povertà, alla vita…
il brigante nell’angolo
nascosto vigliacco battuto tumore
Dio, che non c’era
e giurava di esserci, ah se giurava, di esserci….e non c’era ho conosciuto il dolore
e l’ho preso a colpi di canzoni e parole
per farlo tremare,
per farlo impallidire,
per farlo tornare all’angolo,
cosi pieno di botte,
cosi massacrato stordito imballato…
cosi sputtanato che al segnale del gong
saltò fuori dal ring e non si fece mai più
mai più vedere
Poi l’ho fermato in un bar,
che neanche lo conosceva la gente;
l’ho fermato per dirgli:
“Con me non puoi niente!”
Ho conosciuto il dolore
e ho avuto pietà di lui,
della sua solitudine,
delle sue dita da ragno
di essere condannato al suo mestiere
condannato al suo dolore;
l’ho guardato negli occhi,
che sono voragini e strappi
di sogni infranti: respiri interrotti
ultime stelle di disperati amanti
-Ti vuoi fermare un momento?- gli ho chiesto – insomma vuoi smetterla di nasconderti? Ti vuoi sedere? Per una volta ascoltami! Ascoltami
…. e non fiatare! –
Hai fatto di tutto
per disarmarmi la vita
e non sai, non puoi sapere
che mi passi come un’ombra sottile sfiorente, appena-appena toccante,
e non hai vie d’uscita
perché, nel cuore appreso,
in questo attendere
anche in un solo attimo,
l’emozione di amici che partono,
figli che nascono,
sogni che corrono nel mio presente,
io sono vivo
e tu, mio dolore,
non conti un cazzo di niente
Ti ho conosciuto dolore in una notte di inverno una di quelle notti che assomigliano a un giorno…

Ma in mezzo alle stelle invisibili e spente
io sono un uomo….e tu non sei un cazzo di niente

(Roberto Vecchioni)

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